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Si può lavorare dopo la pensione?

La risposta è sì! Si può lavorare dopo la pensione, dal momento che dal 2009 è caduto il divieto di cumulo tra redditi da pensione e redditi da lavoro, dipendente o autonomo che sia.

In questo articolo vedremo, però, che vi sono eccezioni e limiti legati sia al tipo di prestazione pensionistica percepita, sia alle modalità di accesso alla pensione. Un esempio è Quota 100, per cui il divieto di cumulo sussiste.

Inoltre, scopriremo in che modo si può arrivare a una pensione serena, con un assegno adeguato che non obblighi il pensionato a tornare al lavoro per integrare il proprio reddito.

Lavorare dopo la pensione: si può?

Sono diverse le ragioni per cui una persona, una volta raggiunto il traguardo della pensione, decide di rimettersi a lavorare e integrare il reddito da pensione con quello da lavoro.

In via generale, è possibile lavorare pur percependo la pensione pubblica, dal momento che il divieto di cumulo tra redditi da pensione e redditi da lavoro è stato abolito dal decreto legge 112/2008 a partire dal 1° gennaio 2009.

Tuttavia, esistono alcune limitazioni legate alle modalità attraverso le quali il soggetto interessato ha avuto l’accesso all’assegno pensionistico.

Vediamo quali sono dunque le regole previste, prestazione per prestazione.

Lavoro e pensione di vecchiaia o anticipata

Il cumulo di redditi da lavoro e da pensione è assolutamente possibile per tutti coloro che vanno in pensione con il sistema retributivo o misto, cioè per quei soggetti che hanno iniziato a versare i contributi prima del 31 dicembre 1995.

Per i pensionati contributivi puri, coloro cioè che sono stati iscritti per la prima volta alla previdenza obbligatoria a partire dal 1° gennaio 1996, il cumulo tra lavoro e pensione è possibile se si raggiunge almeno uno dei seguenti requisiti:

  • 60 anni di età per le donne e 65 per gli uomini;
  • 40 anni di contribuzione;
  • 35 anni di contribuzione e 61 anni di età anagrafica.

Lavoro e pensione di invalidità

Chi percepisce l’assegno ordinario di invalidità può lavorare, ma ci sono dei limiti reddituali da rispettare. In questo caso, infatti, è prevista la decurtazione della pensione in base al superamento di determinate soglie di reddito.

Nel dettaglio:

  • 25% in meno se il reddito da lavoro supera di 4 volte il trattamento minimo INPS, che per il 2021 è pari a 515,58 euro;
  • 50% se il reddito supera di 5 volte il trattamento minimo INPS.

Per chi percepisce un assegno ordinario di invalidità superiore al minimo, la parte eccedente può subire un’ulteriore decurtazione nel caso in cui l’anzianità contributiva sulla base della quale è calcolato sia inferiore ai 40 anni.

Il taglio è pari:

  • al 50% della quota eccedente il trattamento minimo nel caso di reddito da lavoro subordinato, che viene sottratta direttamente in busta paga dal datore di lavoro (che poi li riversa all’INPS), oppure sugli arretrati di pensione in caso di liquidazione tardiva;
  • al 30% della quota eccedente il trattamento minimo nel caso di redditi da lavoro autonomo, fatta direttamente dall’INPS sulla base della comunicazione dei redditi annui percepiti.

Tuttavia, questa riduzione sulla parte eccedente non può:

  • essere superiore al reddito da lavoro dipendente percepito;
  • superare il 30% del reddito da lavoro autonomo.

Inoltre, non si taglia la parte di reddito eccedente il minimo nel caso in cui:

  • il reddito conseguito sia inferiore al trattamento minimo INPS;
  • il lavoratore sia impiegato con contratti a termine di durata non superiore ai 50 giorni nell’arco dell’anno solare;
  • il reddito deriva da attività socialmente utili svolte dagli anziani nell’ambito di progetti di reinserimento.

Naturalmente chi percepisce la pensione di inabilità al lavoro non può in alcun modo lavorare, dal momento che il presupposto per ricevere l’assegno è l’assoluta impossibilità di lavorare.

Lavoro e pensione di reversibilità

Esattamente come per l’invalidità, anche l’assegno per i superstiti o di reversibilità è compatibile con il reddito da lavoro, ma ci sono dei limiti reddituali:

  • riduzione del 25%, se il reddito da lavoro è compreso tra 3 e 4 volte l’importo del trattamento minimo INPS, pari a 515,58 euro;
  • riduzione del 40%, se il reddito supera di 4 volte il trattamento minimo INPS;
  • riduzione del 50%, se il reddito supera di 5 volte il trattamento minimo INPS.

Questi limiti si applicano esclusivamente se la reversibilità è percepita da una sola persona. Dunque, se ci sono più superstiti nello stesso nucleo familiare a percepire la reversibilità e ci sono anche minorenni, studenti o soggetti inabili senza limiti di età, non sarà applicata nessuna riduzione all’assegno.

Lavoro e Quota 100

Per chi è andato in pensione con Quota 100 permane il divieto di cumulo tra pensione e reddito da lavoro.

Questi soggetti non possono lavorare finché non raggiungono i 67 anni, requisito anagrafico richiesto per la pensione di vecchiaia.

Chi non rispetta questo divieto subisce la sospensione del trattamento pensionistico e deve restituire l’assegno percepito nei mesi in cui ha lavorato.

C’è però un’eccezione. Chi è andato in pensione con Quota 100 può prestare il proprio lavoro occasionalmente, ma la retribuzione non deve superare i 5.000 euro lordi l’anno.

Come funzionano le trattenute del pensionato che lavora

I pensionati che svolgono, contemporaneamente, un lavoro dipendente, devono fare particolare attenzione alle trattenute IRPEF; questo perché, ricevendo più di una certificazione unica, se non si comunica al datore di lavoro la propria condizione di pensionato, le trattenute potrebbero essere troppo basse.

INPS e datore di lavoro, infatti, applicano le aliquote IRPEF rispetto al reddito a loro noto, ma la somma dei due redditi potrebbe richiedere l’applicazione di scaglioni e aliquote IRPEF superiori.

Questo significa che, in sede di dichiarazione dei redditi, quando l’IRPEF si calcola sul totale dei redditi percepiti, potrebbe emergere un conguaglio a debito importante, evitabile comunicando il reddito da pensione al datore di lavoro, che può così applicare le aliquote corrette in busta paga.

Cos’è il supplemento di pensione

Chi decide di lavorare pur essendo in pensione è comunque tenuto a versare i contributi obbligatori, determinati sul reddito da lavoro percepito.

Tuttavia, questi versamenti possono andare a costituire un supplemento di pensione che può essere richiesto trascorsi 5 anni dalla data di decorrenza della pensione o di un precedente supplemento.

Per una sola volta, però, il supplemento può essere chiesto dopo 2 anni dalla decorrenza della pensione o dal precedente supplemento, a condizione che il pensionato abbia già compiuto l’età pensionabile.

Una pensione serena senza dover continuare a lavorare

Se continuare a lavorare dopo la pensione è una scelta motivata dal solo scopo di integrare l’assegno pensionistico, che potrebbe essere esiguo, pensare fin dalla giovane età alla pensione integrativa può rendere liberi da decisioni sofferte e dalla necessità di lavorare in età avanzata.

Scegliere di aderire a un fondo pensione come Priamo ha lo scopo primario di integrare l’assegno della pensione obbligatoria, e di arrivare al momento della pensione, potendo mantenere pressoché inalterato il proprio tenore di vita rispetto a quando si percepiva il reddito da lavoro.

I fondi pensione comportano poi una serie di vantaggi, quali:

  • possibilità di conferire nel fondo il TFR;
  • contributo del datore di lavoro nel caso in cui, oltre al TFR, l’iscritto decida di versare il proprio contributo;
  • deducibilità annua dei contributi versati fino a 5.164,57 euro;
  • trattamento fiscale di favore sui rendimenti ottenuti;
  • pensione integrativa tassata con aliquota pari al 15%, ridotta dello 0,3% per ogni anno di partecipazione al Fondo, successivo ai 15 anni, fino a raggiungere al massimo il 9%.

Considerato tutto ciò, valutare di aderire a un fondo pensione può risultare una strategia vincente per integrare il reddito e vivere una pensione serena senza dover lavorare.

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