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In Italia pensione a 71 anni: la previsione OCSE

Chi inizia a lavorare adesso in Italia andrà in pensione a 71 anni, collocando il nostro Paese ben al di sopra della media OCSE.

Questo è quanto emerge dal Rapporto “Pensions at a glance 2021”, che analizza le risposte dei sistemi pensionistici dei diversi Paesi sia alla crisi pandemica, sia all’annoso problema dell’invecchiamento della popolazione.

L’età avanzata per accedere alla pensione, purtroppo, si accompagnerà ad assegni pensionistici piuttosto “magri”, dal momento che per i medesimi soggetti si applica il sistema contributivo puro in un mercato del lavoro all’insegna della discontinuità.

Approfondiamo insieme quanto emerso dal Rapporto OCSE, per poi concentrarci sul ruolo della previdenza complementare e dei fondi pensione nel favorire non solo una integrazione dell’assegno pensionistico, ma anche il ritiro anticipato dal mercato del lavoro, evitando che si debba lavorare anche dopo la pensione.

Pensions at a glance 2021: il rapporto OCSE sulle pensioni

Il rapporto OCSE “Pensions at a glance 2021” studia l’impatto della pandemia da Covid-19 sulle pensioni, analizzando i provvedimenti presi su questo fronte dai Paesi OCSE tra settembre 2019 e settembre 2021.

Dal Rapporto emerge una buona risposta sul fronte previdenziale, con il reddito dei pensionati tutelato e sostenuto in maniera adeguata dal momento che

“I Paesi dell’OCSE hanno messo in secondo piano i timori relativi alle finanze pubbliche, colmando ampiamente gli ammanchi nei contributi pensionistici mediante trasferimenti dai bilanci dello Stato.”

Rapporto OCSE: l’invecchiamento della popolazione

L’OCSE rileva un problema di lunga data, che non dipende direttamente dalla crisi pandemica e che continua a preoccupare: l’invecchiamento della popolazione.

Una questione destinata ad aggravarsi ulteriormente nei prossimi decenni; si stima, infatti, che entro il 2060 la popolazione in età lavorativa si ridurrà di più del 25% nella maggior parte dei Paesi dell’Europa meridionale, centrale e orientale, oltre che in Giappone e Corea.

Sulla base delle misure attualmente adottate dai diversi Paesi, l’OCSE prevede che entro la metà degli anni ‘60 l’età pensionabile aumenterà in media di due anni nei Paesi OCSE, con picchi che vanno oltre i 69 anni in Danimarca, Estonia, Italia e Paesi Bassi.

In Italia si andrà in pensione a 71 anni

La previsione per chi accede adesso al mercato del lavoro in Italia è quella di un’età media per andare in pensione pari a 71 anni, mentre al momento il dato è pari a 61,8 anni, grazie alle diverse opzioni di pensionamento anticipato finora disponibili, a partire da Quota 100.

L’OCSE rileva che:

“l’Italia figura tra i sette Paesi dell’Ocse che collegano l’età pensionabile prevista per legge alla speranza di vita. In un regime Ndc [Notional Defined Contribution, ovvero il sistema contributivo, ndr] tale legame non è necessario per migliorare le finanze pensionistiche, ma mira a evitare che le persone vadano in pensione troppo presto con pensioni troppo basse e a promuovere l’occupazione in età più avanzata. In Italia, il requisito di futura età pensionabile ‘normale' è tra i più elevati con 71 anni di età, come la Danimarca (74 anni), l’Estonia (71 anni) e i Paesi Bassi (71 anni), contro una media Ocse di 66 anni per la generazione che accede adesso al mercato del lavoro.”

Purtroppo, l’innalzamento dell’età pensionabile non è l’unica cattiva notizia riguardante l’Italia che emerge dal Rapporto.

Per come funziona attualmente, infatti, il sistema pensionistico non riesce a compensare le profonde disparità tra le diverse tipologie di lavoratori, con gli autonomi che percepiranno in futuro pensioni più basse del 30% rispetto a quelle di un dipendente con la stessa anzianità contributiva, contro una media OCSE del 25%.

Leggi anche il nostro approfondimento Quanti tipi di pensione esistono in Italia?

L’importanza della previdenza complementare

Viste le previsioni OCSE, appare chiaro che andare in pensione in anticipo sarà sempre più difficile e si accompagnerà ad assegni sempre più esigui, dal momento che chi ha iniziato a lavorare a partire dal 1996 vedrà il suo assegno calcolato esclusivamente con il metodo contributivo, dunque sulla base dei soli contributi versati nel corso della carriera lavorativa.

A causa della crescente precarizzazione e discontinuità lavorativa, la pensione pubblica non solo arriverà in età avanzata, ma potrebbe essere insufficiente a mantenere un tenore di vita adeguato sia a quello tenuto prima della pensione, sia alle accresciute esigenze delle persone anziane (come assistenza sanitaria e sicurezza abitativa).

Per chi inizia a lavorare in questi anni, quindi, la previdenza complementare diventa di conseguenza irrinunciabile, per costruire fin da subito la propria pensione integrativa e concedersi l’opportunità di:

  • integrare l’assegno pensionistico pubblico;
  • anticipare il momento di andare in pensione attraverso la RITA.

I fondi pensione come Priamo, infatti, prevedono la possibilità di anticipare il momento del ritiro dal lavoro, mediante una rendita temporanea denominata - appunto - RITA (rendita integrativa temporanea anticipata). In questo modo, si può ottenere un reddito mensile prima di giungere al pensionamento vero e proprio.

L'anticipo può essere chiesto se mancano 5 anni alla pensione di vecchiaia, a meno che non si sia inoccupati da almeno 24 mesi. In quest'ultimo caso, l'anticipo può essere richiesto addirittura 10 anni prima.

Leggi anche il nostro approfondimento Cos'è e come funziona la previdenza complementare

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