Home > Blog di Priamo > Guida rapida al sistema pensionistico italiano

Il blog di Priamo

Guida rapida al sistema pensionistico italiano

In Italia il sistema pensionistico pubblico si basa su un patto tra generazioni, per cui i pensionati percepiscono il proprio assegno grazie ai contributi versati dai lavoratori attivi. Un sistema che, in un contesto di “inverno demografico” e rallentamento della crescita economica come quello che stiamo attraversando, richiede una serie di contromisure sistemiche e personali per sostenersi.

In questo articolo vedremo come funziona il criterio di ripartizione su cui si basa il sistema pensionistico italiano, per poi approfondire il passaggio dal metodo retributivo a quello contributivo per il calcolo degli assegni pensionistici.

Passeremo, in seguito, ad analizzare il ruolo, sempre più importante in questo contesto, della previdenza complementare, l’altro grande pilastro del nostro sistema. In particolare, vedremo il funzionamento del meccanismo di capitalizzazione individuale, messo a confronto con quello della ripartizione.

Infine, faremo una carrellata dei vantaggi derivanti dall’adesione a una particolare forma di previdenza complementare: il fondo pensione negoziale.

Sistema pensionistico italiano: il criterio della ripartizione

Il sistema pensionistico pubblico italiano si fonda sul criterio della ripartizione, un metodo che definisce il funzionamento dei flussi finanziari legati alla previdenza come segue:

  • in entrata ci sono i contributi che i lavoratori e le aziende versano mensilmente agli enti di previdenza;
  • in uscita troviamo gli assegni pensionistici di coloro che hanno lasciato l’attività lavorativa.

Per farla semplicissima: i figli pagano le pensioni ai genitori. Dunque, in buona sostanza non è previsto un accumulo di capitali per le pensioni future e i flussi in entrata e quelli in uscita devono essere quantomeno in equilibrio.

Dagli anni ‘90 del secolo scorso, però, il sistema previdenziale pubblico così costituito ha dovuto affrontare una serie di nuove sfide, pressoché assenti nel periodo di forte crescita (economica e demografica) vissuto dal secondo dopoguerra agli anni ‘80. Ci riferiamo al calo demografico, alle crisi economiche e alla precarizzazione del lavoro (e, di conseguenza, di una certa discontinuità nel versamento dei contributi previdenziali).

Le risposte messe in atto di fronte a queste sfide possono essere sintetizzate in quattro macro-temi:

  • progressivo controllo della spesa pubblica per pensioni, in modo che il suo rapporto con il PIL (Prodotto Interno Lordo) non diventi eccessivo;
  • istituzione di un sistema di previdenza complementare, di cui parleremo diffusamente in seguito, in affiancamento a quello pubblico, per permettere ai lavoratori di ottenere una pensione complessiva più adeguata ai loro bisogni in età avanzata e, al contempo, di diversificare i rischi di esposizione a eventi avversi di varia natura;
  • revisione periodica, al rialzo, dei tempi di uscita dal mercato del lavoro, sia in termini di età anagrafica che contributiva.

La COVIP (Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione) ha tracciato il percorso storico della previdenza nel documento L’evoluzione del sistema pensionistico in Italia, che consigliamo di leggere per approfondire l’argomento.

Assegno pensionistico e metodo contributivo

Tra le diverse riforme che si sono susseguite negli ultimi trent’anni, è utile approfondire la cosiddetta Riforma Dini, la Legge 335/1995, che ha sancito un passaggio “epocale” per gli iscritti alla previdenza obbligatoria, ovvero quello dal regime retributivo a quello contributivo.

La differenza tra i metodi di calcolo dell’assegno pensionistico è sostanziale:

  • nel regime retributivo la pensione corrisponde a una percentuale dello stipendio del lavoratore, dunque dipende dall’anzianità contributiva e dalle retribuzioni, in particolare quelle percepite nell’ultimo periodo della vita lavorativa, che tendenzialmente rappresenta l’apice della carriera anche dal punto di vista finanziario;
  • nel regime contributivo, invece, l’importo della pensione dipende esclusivamente dall’ammontare dei contributi versati dal lavoratore nell’arco della vita lavorativa, dunque a parità di condizioni (ultime retribuzioni e anzianità contributiva), l’assegno pensionistico sarà più “magro” rispetto a quello determinato con il metodo retributivo.

La data che ha segnato questo importante passaggio è quella del 31 dicembre 1995, che divide chi percepisce una pensione totalmente contributiva e quelli con pensione retributiva al 100%.

Tuttavia, ci sono dei lavoratori che hanno iniziato a versare i propri contributi prima di quella data, per i quali si è resa necessaria una transizione, gestita attraverso il cosiddetto sistema misto:

  • chi, al 31 dicembre 1995, aveva meno di 18 anni di contributi ottiene un assegno pensionistico calcolato con il retributivo per gli anni fino al 31 dicembre 1995 e con il contributivo per gli anni successivi;
  • chi al 31 dicembre 1995 aveva più di 18 anni di contributi ottiene un assegno pensionistico calcolato con il retributivo per gli anni fino al 31 dicembre 2011 e il contributivo per gli anni successivi.

Dunque, chi ha iniziato a lavorare prima del 1996 deve tenere ben a mente queste date per conoscere il funzionamento del metodo di calcolo della propria pensione.

Sul tema invitiamo a leggere anche il nostro approfondimento Qual è la differenza tra pensione contributiva e retributiva.

Previdenza complementare e capitalizzazione individuale

Abbiamo parlato del criterio di ripartizione e delle riforme utili a gestire le criticità del sistema pensionistico pubblico. Tra queste abbiamo citato la promozione della previdenza complementare - in passato destinata soltanto ad alcune categorie di lavoratori - a vero e proprio pilastro del sistema previdenziale del nostro Paese.

La prima, fondamentale, caratteristica che rende la previdenza complementare resiliente rispetto alle criticità affrontate dal sistema pubblico è la capitalizzazione individuale.

Si tratta del criterio applicato per formare la base per il pagamento delle prestazioni pensionistiche al singolo aderente. In sostanza, sulla posizione individuale di ciascun iscritto a una forma di previdenza complementare si accumula un importo, definito “montante”, che è rappresentato dalla somma dei contributi versati dall’iscritto e dei rendimenti ottenuti dall’investimento del montante stesso, al netto di imposte e commissioni.

Dunque, l’importo della pensione integrativa deriva dai risparmi (più i rendimenti) versati dal medesimo aderente, e non dai contributi di chi lavora, come avviene con la ripartizione del sistema pubblico.

Inoltre, la capitalizzazione individuale, mediante l’applicazione dell’interesse composto, consente l’accumulo dei rendimenti e la loro partecipazione agli investimenti nei periodi successivi.

Per approfondire questo tema, può essere utile leggere anche il nostro articolo Fondo Priamo e la capitalizzazione individuale: l'importanza del tempo.

I vantaggi dell’adesione al fondo pensione

La costruzione di una pensione integrativa, e il criterio di capitalizzazione individuale, sono soltanto due dei numerosi vantaggi riconosciuti a chi sceglie la previdenza complementare per integrare l’importo dell’assegno pensionistico pubblico.

Ve ne sono poi altri, alcuni dei quali specificamente riservati a chi sceglie di aderire ai fondi pensione negoziali, come Priamo, ovvero quegli Enti riservati ai lavoratori assunti con quei CCNL che, appunto, prevedono la possibilità per il lavoratore di iscriversi a questa particolare forma di previdenza complementare.

Nello specifico, Priamo è il fondo pensione negoziale per i lavoratori addetti ai servizi di trasporto pubblico e per i lavoratori dei servizi affini.

Gli aderenti al Fondo Priamo possono fruire dei seguenti vantaggi:

  • destinazione al Fondo del TFR (Trattamento di Fine Rapporto), invece di lasciarlo in azienda, potendo contare così su rendimenti che, nel lungo periodo, si dimostrano tendenzialmente superiori rispetto a quelli del TFR in azienda;
  • possibilità di ottenere il contributo aggiuntivo a carico del datore di lavoro, un diritto a cui si accede versando anche un proprio contributo in aggiunta al TFR;
  • deducibilità fiscale dei contributi versati ogni anno nel fondo, con un tetto massimo annuale pari a 5.164,57 euro;
  • tassazione agevolata dei rendimenti maturati nel corso della gestione dei versamenti, tramite imposta sostitutiva pari al 12,5% sui rendimenti da Titoli di Stato e al 20% sui rendimenti da altri impieghi (considerando che per le altre tipologie di investimenti l’aliquota applicata è pari al 26%);
  • tassazione agevolata sulle prestazioni finali, con un’aliquota del 15% che si riduce dello 0,30% all’anno per ogni anno di permanenza nel fondo pensione oltre il quindicesimo, fino a un’aliquota minima del 9%;
  • possibilità, a determinate condizioni, di richiedere e ottenere riscatti e anticipazioni del montante accumulato;
  • accesso a costi di gestione contenuti, dal momento che i fondi pensione negoziali sono istituiti nella forma di associazione senza scopo di lucro e operano nell’esclusivo interesse degli aderenti.

In sintesi, ciascun lavoratore, e a maggior ragione i dipendenti che hanno la possibilità di aderire al fondo negoziale di settore, dovrebbe tenere ben presente sia il contesto in cui evolve il sistema pensionistico pubblico sia i numerosi vantaggi riconosciuti dalla previdenza complementare per evitare “brutte sorprese” al momento del pensionamento e cercare di preservare il proprio tenore di vita dopo l’uscita dal mondo del lavoro.

Invitiamo a leggere anche il nostro approfondimento Perché i giovani dovrebbero aderire a un fondo pensione.

Temi: Pensione

Scopri tutti i vantaggi del Fondo Priamo. Contattaci!

Il campi segnalati da (*) sono obbligatori

Articoli correlati